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Penitenza e conversione

Quaresima uguale penitenza. Mi avevano inculcato, soprattutto in seminario, che il perdono dei peccati si “meritava” soltanto con penitenze. Più penitenze, quindi più perdono. Più penitenze, meno purgatorio. Insomma penitenza e assoluzioni a tariffa.

Addirittura al passato c’era un penitenziario che indicava quali e quante penitenze dovevano esser comminate e inflitte ai peccatori, in proporzione di quali e di quanti peccati. Una ragioneria in confessionale.

E se ci rivolgessimo al vangelo, dove la penitenza era detta conversione, e la conversione consisteva fondamentalmente nel cambio di prospettiva di vita e di pensiero: “Metanoia”! Non un gravame di castighi, ma un’elevazione di cuore e di pensiero.

Conversione è, appunto, rivolgere i cuori a Dio. E Dio non lo concepiamo sepolto negli abissi, ma come “Padre nel cielo”, proprio come ci ricordiamo di dire e di pensare, ripetendo le parole di Gesù: “Padre nostro, quello del cielo; riconosciamo che la tua essenza è la santità”.

Penitenza come conversione, conversione come alleggerimento. Insomma: la festa della perdonanza!

La penitenza intesa da Gesù non indica un’autoflagellazione masochistica, ma un’elevazione liberatoria. Sì, proprio la libertà della penitenza, che coincide anche con la libertà dalla malattia. La penitenza vissuta nello Spirito di Dio, riesce a purificare la persona alla sua radice, là dove avviene l’incontro con il creatore, che “ricrea” la persona, tutta la persona, anima e corpo – come usa dire -. Mente e soma sono nelle dolci mani di Dio, che invita semplicemente: “Ritornate a me con tutto il cuore”.

12.03.14