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Grazie e amore

Il “grazie” aumenta l’amore. Di fronte a Dio, il nostro amore è di rimando. Lui ci ama e ci benefica per primo, e noi lo amiamo di riconoscenza. Il cuore riconoscente, quello che è abituato alla delicatezza del “grazie”, è un cuore ormai preso dall’amore.

Purtroppo fin da piccoli ci hanno abituati più alla preghiera della richiesta che a quella della riconoscenza. Eppure la prima preghiera del mattino, appena svegli, era una preghiera di riconoscenza: “Ti ringrazio di avermi creato, conservato in questa notte ecc”. La giornata si apriva, illuminata dall’alba del ringraziamento, ossia dall’espressione della gioia e dell’ottimismo.

Concentrati nel ringraziare, siamo concentrati nell’amare. Ci dicono, e lo sappiamo, che “tutto è dono”. Al dono si oppone l’orgoglio dell’uomo che s’è fatto da sé. L’uomo che pretende di essersi fatto da sé, è destinato all’aridità dei sentimenti, perché l’inizio dei sentimenti è la riconoscenza.

Il ringraziare ci libera dalla presunzione, perché ringraziare è sapersi debitori. Purtroppo c’è un ringraziare freddo, un dire “grazie”, perché lo richiede non il cuore, ma la “buona educazione”. Anche il ringraziare può essere abbassato a rito. E i riti non salvano.

Il ringraziare nostro Padre, si sposa necessariamente alla “preghiera di lode”. E’ vero che tra le ore canoniche, c’è anche la preghiera di lode. Ma quanto è lode? quanto è cuore? Quanto invece è una formula che si deve pronunciare, o che semplicemente si recita, con il cuore lontano e chiuso.

La lode è festa, allarga il cuore. C’è qualche gruppo che si riconosce come “gruppo del cantico”. Il Magnificat di Maria ne è il prototipo. Perché “cose grandi ha fatto il Signore per noi”.

GCM 29.07.13