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Gergo teologhese

L’errore dei giornalisti, dei professionisti e dei calzolai, è lo stesso sbaglio di noi preti.

È l’errore del gergo. Ciascuno si esprime con il proprio vocabolario, più o meno professionale, dando per scontato che tutti siano al corrente di uno specifico linguaggio.

Il giornale, per definizione, è per informare tutti. E poi troviamo sigle, termini inglesi o american o francesi, tutte cose che non solo non riescono comprensibili a tutti, ma che fanno abbandonare quel giornale.

Poco male se si manda a quel paese il giornale,  ma quando si manda a quel paese la parola di Dio, si sfiora tristemente la tragedia.

Noi, preti, siamo impregnati di teologia, siamo abituati alle inflessioni stilistiche e grammaticali del latino e dell’ebraico, e crediamo che tutti capiscano che cosa significa perfino il semplice “e con il tuo spirito”, tanto ripetuto dalla nostra gente.

Siamo rovinati proprio dal gergo teologico che ci mantiene lontani dalla gente, proprio come il latino teneva lontani dalla Messa. Il latino segnava una superiorità di casta del clero riguardo al popolo. Il latino doveva mantenere sopra i tre gradini del presbiterio i preti, che guardavano dall’alto in basso, il popolo disteso sul pavimento.

Come i giornalisti è giusto e acconcio che usino il gergo giornalistico con i colleghi, ed è sconveniente che lo usino con i lettori, così noi preti è giusto che usiamo tra di noi il teologhese, ma è disdicevole che lo usiamo, quando parliamo al pubblico, radunato ogni domenica, nelle nostre chiese.

13.01.14