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G18  Completare la gioia del prossimo

L’apostolo scrive per completare la gioia. Paolo scrive ai Filippesi di “completare” la sua gioia attraverso la comunanza del credere e dell’amare.

Sembra quindi che si possa dare una gioia autentica, ma non completa. Talvolta addirittura, quando esprimiamo la nostra gioia agli altri, si trova perfino qualcuno che tenta di “raffreddarla”.

Come credenti in Gesù, sembra che ci venga chiesto di completare la gioia degli altri. Una specie di gioia “sociale”, destinata a illuminare gli altri. Quasi che manchi qualche cosa alla nostra gioia, se non alimentiamo la gioia negli altri credenti. Una specie di “dovere della gioia” per gustare appieno la nostra personale gioia.

Non è quindi l’espansione spontanea della gioia, ma un obbligo di completare la gioia degli altri. Una gioia, medicina per la gioia.

Gesù si appalesa ai due discepoli di Emmaus allo spezzare del pane. La presenza di gioia condivisa.

Chiaramente qui si realizza la presenza operante dello Spirito Santo tra di noi. Perché anche di noi si possa affermare quanto si scrive di Gesù: “Si rallegrò nello Spirito”.

Lo Spirito ci ricorda la comunione di beatitudine e di amore nella Trinità. Le singole persone non possono vivere e gustare la beatitudine completa divina, se non nell’unità. Il Dio trino è uno non solo davanti all’uomo, ma fondamentalmente in se stesso. Nella Trinità, una Persona rende felice le altre, perché trasmette loro la propria felicità.

In Dio non esiste una gioia incomunicabile.

Tra noi cristiani avviene che, quando qualcuno pretende di sequestrare in sé la gioia, diminuisce o cancella la gioia stessa.

08.05.14