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Come fratelli

Alla messa, durante la partecipazione a Gesù con la comunione, udivo cantare un canto entrato ormai nella nuova innologia cattolica: “Ecco la cosa più bella: amarsi come fratelli”. Nei versi udivo qualche cosa che strideva. Eppure fa parte non solo della sensibilità del paroliere, ma anche di coloro che cantano.

Mi sembra di essere a un paio del “figli adottivi di Dio”. Non figli, ma solo adottati, ossia di una diversa famiglia, che Dio generosamente fa entrare nella propria famiglia. Figli sì, ma fino a un certo punto.

Così non fratelli, ma qualche cosa di analogo all’essere fratelli. Non amarci perché fratelli, ma amarci fingendo di essere fratelli, quindi non un amore vero, ma una specie di amore, finto, forzato, immaginato, e perciò fuori del cuore, oppure una sua tangenziale.

Paolo ci assicura che in Gesù siamo tutti fratelli. Fratelli sì, ma alla larga?

Quanto poco Gesù è entrato nel nostro cantare! Unico è il Padre, ci assicura Gesù, mentre tutti voi siete fratelli.

Da dove deriva questa riluttanza a formare la “famiglia” di Dio? Forse perché le nostre famiglie sono legate dal sangue, ma non dall’affetto? Forse perché i genitori sono come cane e gatto, incapaci di un autentico amore verso i figli? Che cosa ci fa aborrire dal doverci ritrovare in una famiglia, tanto da preferire di essere “come” una famiglia?

Purtroppo il nostro cristianesimo corrente è corredato di “come”, ossia di incapacità di entrare e di esser penetrati dalla realtà di Dio. Anche la famiglia cristiana sta decadendo in una convivenza, che per caso si trova in una chiesa, tra estranei (“come fratelli”!), dove compie qualche rito preconfezionato, tanto per dire di essere ancora cristiani, ma non fratelli.

26.01.14