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G01 Vocazione alla gioia

Il periodo pasquale è un tempo, nel quale la tenerezza di Dio ci invita a riconsiderare la nostra gioia, o anche – Dio non voglia! – la nostra mancanza di gioia.

Purtroppo si incontrano credenti, dentro o fuori i conventi, che hanno paura della gioia. Sono come fermati, legati in una corsia di ospedale, dove è proibito sorridere o ridere. Credenti ammalati di muso lungo, che ogni giorno che passa lo allungano di più.

Nostro Padre autentico, Dio, è l’unico Padre perché lui solo conosce i mezzi per rendere la nostra vita serena e sorridente. Lui, proprio per la nostra gioia di salvezza, ci ha regalato il suo primo figlio. Dio non è egoista come quei genitori, che non sanno regalare fratellini al primogenito. Al primogenito il Padre ha donato miliardi di fratelli, e a questi ha donato il primogenito, per avere una casa ridente di bambini.

Per assicurare la gioia in famiglia, Dio ha accompagnato la presenza di Gesù con il Vangelo della felicità. È vero che una parte non breve dei Vangeli è occupata dai racconti della sofferenza di Gesù. Questa però forma lo sfondo, sul quale poi domina la gioia della Risurrezione.

Ricordo uno scritto antico, che descriveva una comunità cristiana, che dove si trovava, cantava. Canti nell’assemblea, canti nei campi, nelle piazze, nelle famiglie. Gioia che serpeggiava, e che sprizzava spesso. La gioia che nasce dalla sicurezza della salvezza, acquisita nel maestro e capostipite, Gesù.

Noi, destinati alla gioia, dall’Eterno di Dio, all’eterno anche nostro, siamo invitati a non contraddire alla gioia, nemmeno con la scusa cartesiana della
razionalità.

28.04.14