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Ritorno e festa

La parabola del figlio pentito, che ritorna dal padre, innuisce che il ritorno avviene nella serenità e nella festa. L’accoglienza si sposa a non condannare, ma a godere, mentre si attua la felicità colloquiale del ritorno.

E noi, quanti ritorni! E quanta felicità rinnovata!

Ogni ravvedimento, nei confronti di Dio (e di noi, in quanto chiesa) segna un ritorno. La messa quotidiana è un ritorno alla casa e alla mensa del Padre.

Nella parabola il figlio scapestrato ritorna, sebbene titubante e disposto a ricoprire la funzione e il ruolo di schiavo. Il figlio sicuro di sé (i cristiani che si sentono tali, sebbene non praticanti, disonesti, adulteri, ma formalmente a posto!) quel figlio, per non unirsi al fratello mascalzone “non volle entrare” al banchetto. Il disgraziato entra, il superbo non entra.

Piccolissimi ritorni si avverano anche durante la preghiera. Le distrazioni appunto distraggono, portano fuori. È necessario, quindi rientrare. Una, due, molte volte. In passato i più buoni, osservanti e scrupolosi, si impegnavano a ripetere la preghiera, disturbata dai voli della fantasia perversa. Oggi, sapendo che ogni rientro è una festa, come ci si ricompone, sorridiamo con il Padre che ci abbraccia e che lui pure sorride sulle nostre debolezze.

I ritorni più belli sono quelli di molti giovani da me incontrati una volta e che vedono di riprendere il loro posto nella casa del Padre. Sono ritorni gioiosi, nei quali il pentimento non si veste di cilicio e di penitenza, ma di festa e buona volontà. Nel ritorno la riconoscenza al Padre, si vive e si mostra accettando il vestito bello e l’anello, e partecipando felici alla festa.

GCM 28.06.12