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Penitenza o contatto?

Molti di noi pensano che la confessione cattolica, sia un rendiconto del bilancio personale negativo: ho fatto, ho trascurato, sono stato incoerente, ecc.
Insomma sarebbe un mettere in mostra ancora una volta la nostra povera persona umana. Il Padre, in questa fiera delle vanità, non è presente. Di lui ci si rammenta durante la formula dell’Atto di dolore, che resta una formula. E anche in essa si ricorda Dio corrucciato: “ho offeso te”.

Il luogo dove si dovrebbe gustare l’amore del Padre che accoglie, diventa una revisione dei registri di contabilità (si è obbligati ad accusare anche il numero dei peccati!).

Che la confessione serva anche a sgravarsi di certi pesi che tormentano, è un  bene. Ma non può fermarsi lì: essa è un sacramento, e, in quanto sacramento, è il contatto di Gesù con noi.

Eppure questo contatto, zeppo di sorridente e festosa misericordia, è nascosto tanto da non essere percepito. E’ un contatto d’amore che purifica abbracciando. E’ ripresa limpida di una relazione, già trascurata.

Ci si dimentica che la confessione, attuata a cuore aperto (aperto a Dio, prima che all’uomo che ci sta ascoltando) mostra come i propri misfatti diventino un nulla davanti a Dio, che perdona.

Se la confessione evita di gustare tale contatto, essa lascia il cuore arido. Alla confessione ci si reca con lo stesso entusiasmo, con il quale ci si accosta all’Eucarestia: l’entusiasmo dell’incontro con Gesù e con il Padre. La confessione toglie gli ostacoli al contatto, abbatte il muro della incomprensione e della freddezza verso il Padre.

19.06.13