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Casi o persone 

Il Vangelo riporta frequentemente il racconto delle guarigioni, operate da Gesù.

Prima di guarire, Gesù prende contatto personale con il guarito. Lo prende per mano, gli chiede: “Vuoi guarire?”; ode la richiesta.

Perfino quando la metrorragica guarisce, toccando di soppiatto il lembo del vestito di Gesù, Gesù dopo attacca il colloquio.

Gesù, infatti, non guarisce la gamba, il braccio, l’occhio, ma la persona, restituendola alla sua integrità.

Di converso ho potuto osservare nel settore psicologico e medico.

Ho incontrato degli psicologi, che curavano un “caso”. Il caso era l’occasione per applicare una tecnica appresa a scuola. Lo psicologo ha seguito semplicemente un caso. Fortunatamente però, la persona ha incontrato lo psicologo che si è interessato della persona in difficoltà, restituendola al suo modo di gustare la vita.

Ho visto anche correnti, non poche, tra i medici (e in modo esorbitante nella cultura farmaceutica), nelle quali si vuol guarire la malattia, disinteressandosi, per esempio nel “caso del n. 12”, della persona, e interessandosi della malattia.

Avviene anche a scuola, dove lo svolgimento del programma (anche per timore dell’ispezione) è più importante, se non unico, a scapito della formazione delle persone. Prima i programmi e poi, se ci stanno dentro, anche le persone.

E nell’industria, nell’amministrazione, nell’esercito, e perfino spesso nelle comunità religiose, prima i programmi, poi forse le persone.

16.09.19