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Peccati o peccatori

Quando sentiamo la necessità di riconciliarci con il Padre e con la sua Chiesa in Gesù, il nostro atteggiamento può assumere una prospettiva diversa. Ci immaginiamo, per esempio, di recarci a un tribunale, oppure di abbandonarci nelle braccia di un Padre, o anche di immergerci in una vasca purificatrice, o altro ancora.

Dall’immagine deriva anche l’atteggiamento, con annessi o amore, o paura, o igiene, o altro ancora.

Se penso di entrare in un tribunale, diventa necessario cercare di difendermi e di enumerare attentamente i miei peccati, affinchè non me ne sfugga uno solo all’assoluzione del giudice. Se ipotizzo di recarmi da mio Padre, allora, in primo piano emerge il mio cuore desideroso d’amore, e restano in secondo piano (ma non nascosti) i miei peccati. Se penso solo a una doccia purificatrice delle mie macchie, allora domina la mia “vanità spirituale”.

Perciò è diverso il mio presentarmi da peccatore: il mio adire potrebbe essere quello di uno che ha commesso il peccato, quasicché il peccato non mi appartenga; oppure potrebbe essere quello di una persona conscia di essere debole e manchevole.

Gesù al paralitico dice. “Ti sono rimessi i tuoi peccati”. Del pubblicano, invece che dichiara “Pietà di me peccatore!” Gesù afferma che fu “giustificato”, ossia reso giusto, riportato nella giustizia con tutta la sua persona.

Oggi, nella presente disciplina cattolica, è comandata l’accusa dei peccati, affinchè il sacramento sia valido. Però non è l’accusa in sé l’operazione più importante e, per alcuni, forse l’unica, ma l’atteggiamento con il quale ci si accusa: a un giudice, a un Padre, o a un … lavandaio?

Se a Padre, prende valore la cosiddetta confessione devozionale (quella per i peccato veniali), perché in essa sempre soggiace l’atteggiamento del “io sono peccatore”. 

20.10.13