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Carne e contemplazione

Gesù parla della sua carne e del suo sangue, che devono essere assunti per produrre vita eterna.

Gli astanti gli chiedono: “Come può essere?”. Il “come?” è la domanda più impertinente che si possa rivolgere a Dio. Perché il “come” pretende che le opere di Dio abbiano un percorso e uno sviluppo prevedibile, secondo le categorie operative umane.

Gesù non spiega ai suoi interlocutori il come. Egli ribadisce il concetto (l’annuncio!) e lo sviluppa.

Gesù fa il furbo e sfugge dal rispondere? Egli sa che per i suoi ascoltatori il darsi da mangiare è semplicemente una follia. Eppure non si giustifica. Egli non ha l’incarico, più o meno filosofico, di giustificare le opere di Dio, ma svolge l’incarico profetico di annunciarle.

Il suo ribadire l’annuncio, evitando di rispondere al “come?”, provoca tale sconcerto che la gente lo abbandona.

La ricerca del come non è coronata da un’adesione, ma da una fuga solenne.

Questo è il destino e l’esito di ogni nostra riflessione su Dio e sulla sua Parola.

Però si dà anche un altro esito, bellissimo, dolcissimo: il perdersi nella Parola di Dio contemplandola. Per assumere la Parola di Dio, non serve la logica, ma la contemplazione; perché ci sono le ragioni del cuore, che la mente non conosce.

Perfino il cosiddetto ringraziamento alla comunione eucaristica, spesso è un tentativo di parlare e di spiegare, invece di essere immersione nel mistero. Immersione che produce chiarezza, ma di una luce diversa.

GCM 19.08.12