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Preghiera partecipante

Nel capitolo secondo della Lettera agli Efesini, Paolo passa alla preghiera, dopo aver espresso tutta la bellezza e la grandezza dell’agire dello Spirito Santo nei credenti.

Dalla magnificazione alla preghiera. È lo schema usato da Gesù, quando insegna a pregare, secondo lo schema del “Padre nostro”.

Il passaggio è “naturale”. Prima si annuncia meravigliati l’opera di Dio, poi si entra nell’opera di Dio pregando. Paolo aveva ricordato ciò che Dio aveva creato negli Efesini, ora dentro gli Efesini egli entra per assaporare l’opera di Dio.

“Per questo (ossia per la lode dovuta a Dio, grazie all’eredità dello Spirito) anch’io, avendo udito la vostra fede vissuta dentro il Signore Gesù, e l’amore verso tutti i santi, non smetto rendendo grazie, facendo memoria di voi, nelle mie preghiere”.

L’opera di Dio, è diventata fede in Gesù e amore fraterno. Questi doni magnifici, fede e amore, non trattengono Paolo nel semplice esaltare gli Efesini, ma aiutano l’apostolo a condividere la grazia degli Efesini entrando in loro con la preghiera.

La preghiera non è solo unione con Dio, ma è pure compenetrazione tra i credenti. Con la preghiera si beneficia della fede e dell’amore dei fratelli. Molte persone chiedono di pregare “per” loro. La bellezza sgorga dal pregare “con” loro.

È significativo il “prega per me”. Tuttavia diventa sublime il “pregare con me”, senza demandare ad altri, ma partecipando anche corporalmente alla reciproca preghiera, quando un po’ di buona volontà permette la preghiera comune, magari in una chiesa, in unione con il Cristo presente. Meglio ancora se accade durante il raduno della messa.

23.08.15