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Grazia e pace

All’inizio della lettera di Paolo agli Efesini leggiamo un rapporto, che ci mostra il piano, sul quale è situata la comunicazione. Infatti l’apostolo di “Cristo Gesù” scrive ai santi e credenti in “Cristo Gesù”. Il contatto è stabilito e sicuro: esso è attuato solo da “Cristo Gesù”. Stesura della lettera, e lettura della lettera sono realizzate in Cristo Gesù. Per comprendere l’intimo della lettera è necessario non uscire da “Cristo Gesù”.

Anche nel lettore odierno è richiesto di non uscire da Cristo Gesù per sentire penetrare la “grazia” di Dio. Esegesi, storia del testo, critica letteraria o teologica, non possono essere i “conduttori” nella lettura, ma eventuali semplici aiuti alla comprensione del testo.

Perciò altro non poteva augurare ai destinatari della lettera, se non “grazia e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù”.

Grazia a voi e pace. Tutto è dono di Dio. Paolo augura o constata? È augurio o lettura di chi è già santo?

Il testo precisa “essenti santi” (tois aghiois tois usin), una santità acquisita, non per azione umana, ma per dono di Dio, che rende santi e credenti. Perciò la grazia e la pace sono una situazione ovvia per chi è santo.

È un po’ difficile dire se Paolo constata o augura. Se augura deve augurare in modo consono alla santità. Paolo si discosta dal modo di iniziare una missiva, modo che troviamo anche nella lettera spedita da Gerusalemme ad Antiochia, dove troviamo l’augurio a star bene (chairein). Paolo esplicita lo star bene cristiano: grazia e pace da Dio e da Gesù.

Tutto il resto della lettera si muove dentro tale grazia e tale pace.

15.08.15