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Troppi padri, nessun padre

Siamo graziati di un’innocenza in noi, che precede ogni educazione, che è capace di indirizzarci e di sviarci anche dall’innocenza. Essendo, da piccoli, nelle mani della madre e del padre, ci adeguiamo ad essi fatalmente. Un adeguamento che va dal tono della voce all’assimilazione dei loro valori, spinti e dalla necessità di imparare a vivere e dalla paura di disobbedire con annesse punizioni, inclusa quella di essere trascurati e di perdere il loro indispensabile sostegno.

Si forma così la costrizione della dipendenza, anche nei tratti comportamentali, i quali a poco a poco sono vissuti come obblighi morali, sottraendoci ai quali ci ghermiscono i sensi di colpa.

Il prolungamento della necessità e della paura dei genitori, si allaccia ai maestri, agli insegnanti, al capoufficio, ai superiori, al capo del governo, e al Papa; non solo ma anche alla tirannia dei compagni di classe, di gioco, di sport, per raggiungere i giornali, la moda, la pubblicità. Siamo irretiti interiormente dalla ragnatela genitoriale, diversamente e ampiamente modulata, soprattutto in mille maniere subdole.

Quanti sensi di colpa e quanta infelicità, se contraddiciamo a uno solo di questi tiranni o tirannelli (più efficacemente influenti, che non i tiranni grossi, verso i quali si nutre una sana e facile ribellione)!

Chi ci libererà da questa atmosfera di morte?

Soltanto Dio. Il Dio autentico di Gesù e del suo Vangelo (non del Vangelo interpretato a nostro uso e consumo).
Gesù con una breve frase ci ha indicato l’indirizzo della liberazione. “Non date l’essenza della paternità [non nominate Padre] a nessuno su questa terra, perché uno solo è il padre, quello celeste”.

Gesù obbediva solo al Padre, pur dovendosi sottomettere (non obbedire) ai genitori. L’obbedienza è un sentimento di comunicazione, la sottomissione di necessità.

GCM 10.04.12