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Tre età

Percorriamo tre età dell’intelligenza.

La prima è l’uso immediato dell’apprendere e dell’uso dell’intelligenza. Una dotazione naturale, dalla quale quasi non ci accorgiamo, tanto è spontaneo il vedere, l’apprendere, e poi il diverso modo di elaborare sensazioni concrete, e riflessioni astratte.

Agli osservatori esterni (genitori, maestri, professori) appare chiaro il tipo di dotazione intellettiva, e la “quantità” di essa.

Tipo: pratica, speculativa, matematica, artigianale, e chi più ne ha più ne metta.

“Quantità”: tutti conosciamo i test per il quoziente intellettivo (Q.I.), che si prefiggono di misurare in centesimi la quantità intellettiva: insomma chi è più e chi è meno intelligente.

La seconda fase avviene quando utilizziamo l’intelligenza, soprattutto nel lavoro con altri. Allora il più e il meno si notano nella pratica quotidiana. E se c’è un più chiaro, lo si nota dall’invidia che nasce nel gruppo. Una delle conferme della superiorità della nostra intelligenza si staglia chiara, nel confronto con il “potere”. Povero il dipendente, che è più dotato del “superiore”! Egli sconta ogni giorno la dotazione della sua intelligenza, pur sentendosi evidentemente, superiore a certa mediocrità, più o meno cieca.

La terza età è la più bella. Allora ci si accorge che sì, si è ben dotati, e che tutto è dono di Dio e dello Spirito. Non esiste più vanto, ma riconoscere il dato, e riconoscenza al datore. La lode, che altri rivolgono per l’intelligenza, è dolce all’orecchio perché essa è lode a Dio, che si rivela anche attraverso l’intelligenza, di chi da Dio è amato.

GCM  30.05.12