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Debolezza ed elogio

Quest’anno mi sono soffermato alcuni giorni su “L’elogio della debolezza”. Ora  mi chiedo: farei anche l’elogio della mia debolezza? E’ più facile riflettere su temi che attirano, che non essere attirati dalla propria debolezza. La mia debolezza mi infastidisce, più che spingermi a lodarla per il bene che mi comporta.

E’ più facile accettare la debolezza psichica e morale, piuttosto che la debolezza fisica, dalla quale non mi posso liberare. La debolezza morale è sempre sperabile che passi; ma quella fisica, nonostante la ginnastica e l’ingurgitare pillole, resta pertinace più che mai.

Il non poter più svolgere certe azioni, anche ovvie, che una volta si svolgevano in un battibaleno, e oggi sono corredate da una lentezza da tartaruga, ci fa sentire un amaro, che si vorrebbe poter cancellare.

Figurarsi poi se mi propongo di elogiare tale debolezza! Sembra una pretesa da mentecatti. Allora: accettare di essere mentecatti, o semplicemente deboli?

Elogiare la debolezza non è farne un peana. L’elogio è di tipo meno eroico. Gesù accolse la sua debolezza con un  semplice “Sia fatta la tua volontà”.
L’elogio sta nella sincerità, con la quale “si fa la sua volontà”. Proprio perché si fa la volontà del Padre, si elogia la debolezza, perché essere in armonia - anche sofferta - con il Padre è sempre essere entrati nella sua gloria.

Appesantito dalla mia crescente e irreversibile debolezza, l’elogio può esprimersi semplicemente con l’accettare la volontà di Dio, che è l’ottima condizione per ritrovare la nostra armonia e, con questa, acquistare la gioia del ringraziamento.

GCM 31.7.12