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Guadagnare, non perdere

Si dice ai bambini, per abituarli ai piccoli sacrifici detti anche “fioretti”, che con i fioretti si guadagna il Paradiso. Espressione questa, che vanta un suo fascino nella fantasia di bimbi educati all’egoismo dell’avere. Si scorda la loro grandezza dell’essere. Educarli a guadagnare dovrebbe portare nel recinto dei rapporti con Dio: l’ingordigia del commercio.

Evidente è la dimenticanza di ciò che i bambini sono davvero. Essi sono figli di Dio. Non è necessario, quindi, guadagnare Dio, nascosto sotto il nome di Paradiso. Dal Battesimo in poi, la santità di Dio è inserita nella persona. La nostra libertà soltanto decide di mantenerla oppure di perderla.

Dio non si può guadagnare, non è in vendita. Lui è già “tutto esaurito”, perché si è già donato. Forse noi non comprendiamo il senso impensabile del dono di Dio, perché noi non sappiamo donare. Perfino, quando regaliamo un ninnolo a un bambino, sollecitiamo un suo grazie, convinto o no (come si dice?).

Non comprendendo la bellezza del dono, noi non la apprezziamo e la lasciamo perdere ovvero la dimentichiamo semplicemente.

Certamente non riusciamo a misurare l’immensità del dono di Dio, e quindi non lo apprezziamo. E  pur vero che l’immensità si può misurare soltanto con l’immensità, che è l‘unico criterio adeguato. Pretendiamo misurare il dono-Dio con i nostri poveri criteri, che non si elevano a una spanna sul nostro naso.

Dio con il dono di sé, include il dono dello Spirito, unico capace di farci intuire il dono di Dio. Lo Spirito agisce in noi soltanto con la fede e con i relativi connessi.

Il compito più bello della nostra vita è quello di accorgerci di Dio in noi, e di vivere noi in Lui.

GCM 19.06.12