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Servi in quiescenza?

Lavorare anche dopo il lavoro. Lavorare anche da pensionati. Completare tutto il compito che il Padre ci ha affidato. Non c’è neppure un attimo della vita, nel quale non possiamo, almeno in parte, completare l’opera.

Gesù - il nostro faro - ci rivolge una parabola, efficace come tutte le parabole. E’ quella dei dipendenti che tutto il giorno lavorano nei campi e ritornano la sera a casa. Essi non possono riposarsi prima di completare il mansionario, che prevede anche il lavoro di cucina e di servizio a tavola. Soltanto dopo aver eseguito tutte le loro incombenze, fuori e dentro casa, sono in grado di dire soddisfatti: “Siamo liberi dal lavoro: ciò che era nostro compito, l’abbiamo eseguito tutto”. In questa frase ho tradotto il senso del testo greco di Luca.

Spazio per il lavoro è tutta la vita. Poi viene il riposo di Dio, quando il nostro operare sfocia nella pace di Dio.

Da vecchi, il nostro operare non può cessare. Esso deve trasformarsi, non smettere. Lavori meno pesanti (non vangare i campi, ma badare alle pentole: secondo la parabola), non meno importanti, per nostro Padre. Da vecchi possiamo sempre donare qualche cosa, almeno il sorriso e non il brontolamento.

L’opera non smetterla mai. La pensione non è un consacrarci al bar, per giocare a carte, bere e bestemmiare. Essa è un invito a sfoderare dal deposito della vita, quelle iniziative che possono servire a rallegrare gli animi nostri, degli altri, e dei missionari.

Restringere il campo di azione, con la diminuzione delle forze e delle occasioni, ma non ritirarci del tutto. Soprattutto, aumentare i “lavori di casa”, lavori in famiglia, primo dei quali è la preghiera.

GCM 13.11.12