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Qualità del morire

La morte fa parte della nostra vita: è il destino di tutti. Vivere umanamente è anche morire.

Il modo di morire tuttavia ci differenzia.

C’è la morte del disperato. Chi rifiuta la morte, questo nemico irresistibile. La combatte, la odia. Spesso per evitare la morte, la persona si suicida. La morte del disperato è propria di chi non spera, cioè di chi non vede più in là del proprio naso, e concentra la propria vita nell’allungarla il più possibile nel tempo, combattendo ogni ostacolo che si contrappone al vivere a lungo. Muore sconfitto, perché il suo desiderio si infrange.

C’è la morte di colui che vi entra senza pensarci. La morte dell’indifferente al vivere o al morire, del campare alla giornata. E’ il morire forse elegante, ma nella convinzione costruita che non val la pena di vivere ancora.

E c’è la morte dello sperante: morire sperando. E’ la morte di chi guarda oltre, per il quale il morire è una breve tappa prima del sempre vivere.

Spera davvero chi ha lo sguardo lungo, come il corridore, che, quando inciampa, si rialza per raggiungere la meta. La morte uno degli inciampi - sì, il più pesante - della vita, prima di sentirsi eternato.

Evidentemente considerare la morte come un semplice incidente di percorso, è possibile se si è basati su una convinzione ben solida. La convinzione solida della meta ultima non viene dalle nostre considerazioni. Siccome la meta è oltre le nostre capacità di conoscenza terrena, è necessario che Qualcuno, che conosce il dopo, ci rassicuri. Gesù Risorto è la nostra rassicurazione.

GCM 29.06.09