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Psichiatri sconfitti

Sapevamo già che, negli Stati Uniti, gli psichiatri guidano la classifica dei suicidi. Ora una statistica ci dice che la stessa cosa si avvera anche in Germania. C’è un motivo?

Arrischio la mia ipotesi.

Prima di intraprendere lo studio della psicologia e della psichiatria, molti studenti credono che i loro problemi psichici possano essere affrontati e superati attraverso lo studio della psicologia.

Lo studio e la professione dovrebbero garantire la propria guarigione, e non un lavoro costante su se stessi, magari con l’aiuto di altri.

Dopo aver intrapreso la professione, se rimangono le difficoltà  psichiche, che hanno preceduto e anche stimolato lo studio di materie  “psi” (come si dice in Francia), allora l’operatore si trova nella continua sollecitazione di guardare dentro di sé. Alcuni sfuggono alla sollecitazione, rifugiandosi nel ruolo: la condizione sociale, acquisita grazie a un titolo di studio, è contrabbandata per sicurezza psichica genuina: ma la personalità non è il ruolo sociale.

Altri accompagnano il lavoro con gli altri, con una lenta maturazione dentro se stessi. Questi sanno una cosa fondamentale: la personalità non la si può barattare con un ruolo, e puntano ad arricchire - con riflessione e indirizzando la propria esistenza in modo radicale - se stesi e il proprio lavoro.

Altri ancora, che non svicolano come il primo gruppo e non maturano come il secondo gruppo, si trovano a scavare inesorabilmente dentro di sé. Si aprono per essi le profondità sconcertanti della psiche, si trovano disarmati e sbaragliati e ricorrono, per liberarsi dall’angoscia, semplicemente al suicidio.

GCM 24.10.08