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Itineranti

Ebrei e Arabi, popoli semitici, sono costanti e convinti assertori della presenza di un Dio unico. Hanno nelle loro fibre intime la necessità di Dio. Non soltanto tutte le persone, ma il sottofondo culturale li spinge a fidarsi di un solo Dio.

Questa loro tendenza all'unità di Dio, per Dio stesso è stata una facilitazione ad allearsi con loro, dopo averli creati. Nel genio della loro stirpe li attirava il bisogno di avere un Dio unico, sebbene le deviazioni, tra la gente, non erano rare.

Il Dio previdente accoglie e si allea a quel popolo che lui aveva creato, quel popolo che ha seguito il suo istinto a non allontanarsi dalla propria origine.

Il contatto con i popoli "civili", spesso tenta la povera gente ad abbracciare con quella "civiltà", anche la concezione religiosa politeistica. Il popolo già nomade, perse qualche cosa del proprio genio quanto si insedia. Popolo errante, dice Mosè. Ebreo errante ricorda il romanzo. Nell'errare è privo di sostegni e deve trovare in sè la forza per resistere, e questa forza è il loro Dio, "così vicino quando lo si invoca" .

L'itineranza è un supporto della fede. Non per nulla Mosè, nel Deoteronomio, quando le tribù israelitiche stanno abbandonando la precarietà del deserto ripete tutte le leggi e le raccomandazioni, affinchè il popolo insediato e, neccessariamente, portato alla civilizzazione, non perda il ricordo nelle proprie origini, volute da Dio.

Tra i francescani è in voga l'itineranza francescana. Essa è reclamata dai superiori per non aver rifiuti, quando fanno cambiare di sede i frati: li desiderano obbiedienti. La stessa è declamata quando si vuole esaltare la povertà. Ma il senso profondo dell'itineranza, che è l'invito a riconsiderare il periodo delle proprie origini, è dimenticato. La forma rischia di prevalere nella sostanza.

 GCM 21.01.12