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Sofferenza e fiducia

Gesù vede una donna afflitta, ne ha compassione e interviene da par suo: restituisce alla donna il figlio, che era morto.
Restituisce: poteva essere sua proprietà, proprietà di chi aveva richiamato in vita. Però Gesù, pur intervenendo in modo sublime (da Dio!), rispetta l’ordine naturale, che lui aveva creato.

Gesù, quando soffriamo per qualsiasi perdita, che altri ci procurano, capisce il nostro dolore, addirittura se lo assume (ebbe com-passione, condivide il dolore!), e interviene da par suo. Quando, come? Subito, più tardi? Con mezzi umani, con interventi divini? Non sappiamo. Però nel fondo del nostro cuore, sappiamo che lui, una volta commosso, non abbandona il sofferente.

Allora è bello e utile, abbandonarci nelle sue mani, che sono le mani del Padre incarnate.

Mettere la nostra sofferenza nelle mani di Gesù, è indicato. Però, quando la sofferenza, il dolore sono autentici, anche senza offrirci a Gesù, lui se le assume ugualmente. La donna di Naim non aveva esposto la sua costernazione a Gesù, ma lui se l’è assunta ugualmente.

Gesù, di suo, anche senza esserne stimolato dalla richiesta umana, interviene. Meglio se la richiesta è esplicita: nella nostra preghiera, nel nostro pianto. Richieste che pullulano nel Vangelo: ciechi, lebbrosi, sorelle di Lazzaro, l’ufficiale romano, ecc., sono belle e commoventi, richieste che si rivolgono a Gesù presente o assente, ma che sempre commuovono il suo cuore e la sua divinità.

Se soffriamo, non siamo abbandonati. Preghiamo per accorgerci della suapresenza durante il nostro dolore.

13.09.16