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Il dono della costanza 

Leggo di S. Giuseppe da Copertino (che mi risulta simpatico) che tutte le cose fornite a noi sono dono di Dio e, quindi le amministra lui, eccetto la volontà, che siamo incaricati e liberi di amministrare noi. Perciò, dice il Santo, l’unica cosa che possiamo offrire a Dio, di nostro!, è la nostra volontà.

Superiamo l’enfasi innocente in questo pensiero, però da esso possiamo desumere il valore del nostro volere nelle cose di Dio. Gesù, quando spiega ai suoi la parabole del seminatore, aggiunge una frase nell’ultima parte.

Mentre indica la superficialità e la brevità dei semi, caduti sulla strada, caduti nella petraia e tra le spine, nello spiegare la fruttuosità del seme caduto su terra buona, invece aggiunge che i semi fruttificano nella costanza (en upomonè). La perseveranza è supportata dall’azione della volontà.

Proprio il volere è richiesto da Gesù, affinché la sua stessa parola si avveri.

Tutti lo sperimentiamo: quando si prolunga l’attesa per i frutti, cessa l’entusiasmo, ma la volontà resta ferma: non vedo, non sento, eppure persevero.

Questo è consolante. Spesso la preghiera è senza sapore, tuttavia se restiamo fedeli nel continuare a pregare, il nostro povero pregare si attua nel semplice perseverare a rimanere nell’atteggiamento e nel tempo dedicato al pregare.

Nell’amare il prossimo, quando subentra la tenebra, il nostro amare è semplice permanere con la persona che amiamo. È una stoltezza dire che l’amore si estingue. L’amore dura nella costanza di rimanere con Dio e con le persone amate. La costanza spesso è l’unica modalità della preghiera e dell’amore.

 20.09.15