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Guerra e pace

È buon senso parlare di spiritualità dentro un mondo in subbuglio? Oppure è solo la spiritualità che ancora una volta, faticosamente, potrà vincere sul risveglio della barbarie umana?
Ricordo un brano di S. Bonaventura, che invitava i frati a non parlare delle guerre, che pur erano in atto. Dimenticarsi dell’orrore in Iraq, in Somalia, in Libia, per raccoglierci a riccio?

Forse la spiritualità cristiana non privilegia il riccio di alcune spiritualità. Gesù viveva lo Spirito, nella preghiera e nell’azione. Si manteneva a contatto continuo con la gente, non evitava il confronto, talvolta accesissimo, con i suoi avversari. Per lui anche questi erano passibili di salvezza.

La spiritualità cristiana, pur nella sua radicalità contro ogni violenza, include nella propria preghiera le intenzioni per i vivi e per i defunti, e per i pacifici e i violenti. Evidentemente desiderando che tutti si incontrino con il Principe della Pace, gli uni per essere approvati e confermati (Beati gli operatori di pace), gli altri per essere ricuperati e purificati.

Non è semplice vedere e assistere a certe nefandezze (come la decapitazione di persone innocue sequestrate), e non fremere. Eppure oltre il fremito, nella spiritualità di Gesù e nostra, resta sempre lo spazio per la preghiera. Questa, fiore della spiritualità cristiana, nessuno ce la può togliere.

La spiritualità non fugge; essa si ritira con Gesù sul monte, per poi entrare nel campo, arduo, della misericordia. Misericordia anche per coloro, che ci fanno del male autentico e non desistono dal farlo. Dio vede e Dio ci aiuta.

03.09.14