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Elogio della debolezza  8

13.06.12

Cantare la nostra debolezza: questo ci indica Maria: L’umiltà dei santi, quella autentica, lontana dall’accademismo che di essa fanno non pochi agiografi, non è uno sprofondare nella depressione. Anzi essa è un elevarsi nella lode.
L’esempio per noi cristiani non è Diogene, ma Gesù. Ti lodo, Signore del cielo e della terra, perché queste verità le doni ai piccoli e ai semplici.

Sembra un’eco del Salmo: Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza verso i tuoi avversari, per confinare nel silenzio nemici e ribelli.

Cantare a squarciagola la debolezza, non nasconderla, non vergognarci di essa, se essa è il trono di Dio. Il profeta Ezechiele vede il trono di Dio sulle nubi, sorretto da angeli. Che cosa di più inconsistente di una nube? Eppure essa “sorregge” Dio, quando si manifesta.

Anche Gesù,  quando nell’Ascensione entra nell’infinito di Dio, è avvolto da una nube.

Il debole è la nube che canta e che sorregge Dio nel suo manifestarsi. Il debole è sempre al contatto di quel Dio, che abbatte i superbi ed eleva gli umili.

Cantare la debolezza richiede una preparazione nella fede. La fede in Gesù, che si annulla in quanto Dio, che accetta la bassezza umana, e proprio per questo Dio gli ha conferito un nome (un’essenza), che è al di sopra di ogni altro nome.

Cantare ed elogiare la nostra debolezza si attua nell’unica lode, su base reale, che è possibile all’uomo. Non l’autoincensazione del fariseo che prega in piedi ritto, ma il riconoscersi deboli e peccatori, come il pubblicano piegato in due. Essere deboli, che si accettano per veri deboli, è la via per “essere giustificati”.

19. 05.12