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Elogio della debolezza 2

07.06.12

“Quando sono debole, astenico, proprio allora mi sento forte!”. S. Paolo ne è certissimo. La sua sicurezza gli sgorga dalla fede. In lui è presente Gesù.

Gesù stesso invita i deboli a recarsi da lui: “Venite da me, tutti voi, che vi sentite affaticati e mosci, e io vi rinforzerò”.
E’ questo un invito, che ancora una volta pone Gesù in relazione con la debolezza.

Già dentro di sé Gesù vive la debolezza, perché da ricco che era, si trasformò in povero.

S. Paolo esalta Gesù, ma vedendo nella debolezza di Gesù, la stessa debolezza di Dio. Annotando però che la debolezza di Dio è più potente della potenza umana.

L’elogio della debolezza si trova, appoggiata alla forza di Dio. Infatti anche elogiare la debolezza può essere la pretesa di essere forti, perché capaci almeno di lodare. Perciò l’elogio stesso deve essere un grido di debolezza, un’invocazione di aiuto. Infatti non si elogia la bravura e la capacità umane, ma si penetra in noi stessi, per assumere la nostra debolezza e in quella incontrare Gesù, fatto povero per noi.

Allora l’elogio è preghiera. Preghiera con Gesù, che fu esaudito proprio perché partecipe della debolezza umana, come ci insegna la Lettera agli Ebrei.

L’elogio è un doppio riconoscimento: della situazione umana, del dono di Dio.

Paolo dice di essere forte, proprio quando si accorge di essere debole, e accetta la propria debolezza, senza sentirsi né tradito, né umiliato, ma riempito del mistero, ossia di Cristo.

L’inizio è la semplice e difficilissima accettazione di essere deboli, senza imprecare, senza opporvisi.

18. 05.12