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Elogio della debolezza 1

06.06.12

E quando ci invade la noia, lo sconforto, l’impotenza, lo stordimento, possiamo ancora amare Dio, nel baratro della nostra svogliatezza?
Gesù ci esorta, amorevolmente: “Restate nel mio amore!”
Paolo ci aiuta: “Nulla mi può staccare dall’amore di Cristo”. Ebbene non solo la persecuzione dei nemici di Gesù, ma neppure le difficoltà, che zampillano frequenti dal nostro intimo, ci possono separare dall’amore di Cristo, ossia dal Cristo che ci ama. Le nostre deficienze, di qualsiasi tipo, sono meno forti dell’amore di Cristo.
Quando siamo abbattuti, Cristo non si abbatte. Il nostro abbattimento psichico non è più potente dell’amore costante di Gesù. Lui risorto ha oltrepassato gli alti e i bassi della vicenda umana. Però lui li ha sperimentati nella sua pelle, e sa che si tratta di debolezza, non di cattiveria o di cattiva volontà.
Gesù accompagna le nostre debolezze, non le condanna. Esse non ci fanno uscire dall’amore che lui ci porta. Soltanto la decisione di liberarci da Gesù e dal Padre, conduce a una autocondanna.
“Mi glorio delle mie debolezze, che permettono a Gesù di abitare in me più a suo agio. Quando sono debole, proprio allora sono forte”. Infatti proprio allora Gesù è più libero di invadermi e di sperimentare in me la sua risurrezione.
Soltanto il credente vive questa consolazione: “Quando sono debole, proprio allora sono forte!”. Cristo è la nostra forza. Quando sono svogliato, sofferente, incapace di pregare, allora Dio riceve più abbondante la libera preghiera dello Spirito Santo in me.
18. 05.12