08.06.12
Che cosa sono le beatitudini, se non un provvidenziale elogio della debolezza?
Poveri, afflitti, perseguitati a causa ella giustizia, puri nel cuore… Tutta gente calpestata e nullificata dal mondo, perché incapace di farsi valere.
La debolezza, nelle beatitudini, è dichiarata felice. Gesù, Dio, che decreta la felicità per il debole. Una felicità in parte presente, in parte posticipata.
Presente: di essi “è” il Regno dei cieli. Una acquisizione già realizzata.
Futura: “saranno” consolati.
Nell’uno e nell’altro caso il contrappeso è assicurato: regno dei cieli, saranno consolati, vedranno Dio, già oggi figli di Dio. La debolezza e l’afflizione, con Gesù non rimangono stabili. Perché ora siete afflitti, ma mi vedrete e gioirà il vostro cuore.
Nel Vangelo nessuna situazione è tanto disperata, da non ricevere sollievo.
Perfino la morte: la debolezza, il ludibrio della croce, trovano soluzione non nel caos, ma nella luce della Risurrezione.
Che cosa di più debole della morte per mano di assassini? E che cosa di più forte della Risurrezione dai morti?
La Risurrezione di Gesù e nostra, è il culmine e l’emblema, che stimola ad affermare: “Quando sono debole, proprio allora sono forte!”. Non solo per Paolo, ma pure per ognuno di noi.
Allora la Risurrezione è la grande forza dei deboli. Nella nostra debolezza, aprire il cuore alla Risurrezione. L’elogio della debolezza è la Risurrezione. In questa confluiscono le nostre pene, le sconfitte, le tribolazioni, le apparenti insignificanze del nostro esistere.
La forza seminata e insita, in ogni debolezza, è proprio la Risurrezione di Gesù, inizio della nostra Risurrezione.
18. 05.12