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Perdersi, per trovarsi

Chi si perde in  Dio, è salvo. Non  è un perderci per perderci, a questo basta una sbornia o una “pera”, come dicono i tossicodipendenti.

Perdersi in Dio è l’abbandono in Lui, senza riserve. All’inizio è il “senza riserve” che ci spaventa. Il non poter più disporre di noi.

Però Dio è Padre, buon Padre. Non ci priva mai di ciò che ci dona: in particolare la vita. Tant’è vero che la vita, quando ai nostri occhi appare estinguersi, Iddio la moltiplica alla potenza infinita.

Il perderci in Dio, chi lo può descrivere? Lo si prova, lo si vive, lo si assapora, è esperienza certa e sicura, ma è molto insicuro il tentativo di parlarne. Lo si intuisce, soltanto quando per un  dono dello Spirito, lo si vive.

Eppure bisogna parlarne, perché i doni di Dio non si possono tacere.

Ma, parlandone, siamo sicuri di descrivere una realtà, e non un’illusione?

Ci soccorre la Bibbia, e in questa l’esperienza di Gesù e di Paolo.

Un momento particolare di questo abbandono, nell’esperienza di Gesù, è la pre-morte: ”Nelle tue mani affido la mia vita!”. La ribellione ovvia contro la morte (“Mi hai abbandonato”) è superata dall’abbandono nelle mani del Padre.

Abbandono alla vita, contro abbandono alla morte. Due abbandoni: quello della speranza supera quello dell’abbattimento.

Se così nel momento più ostico del vivere, così necessariamente fu in ogni altro momento.

L’abbandono al Padre, è compiere la volontà del Padre, armonizzando la nostra volontà con la sua. L’abbandono è tutto qui. Ma quale è davvero la sua volontà su di noi?

Per alcuni è la voce del confessore o del padre spirituale. Per altri sono i discorsi del Papa. Per altri l’autore di spiritualità preferito, le Costituzioni dell’Ordine, ecc.

Resta, alla base, la nostra vita con il Vangelo.

GCM30.08.11. pubblicato 15.01.12