HOME

Home > ITINERARIO e PSICOLOGIA > Articoli 2012 > Elogio della debolezza 9

Elogio della debolezza 9

14.06.12

Cristo fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi che siamo deboli in lui, saremo vivi con lui per la potenza di Dio: così si esprime S. Paolo, scrivendo ai Corinzi (2 Cor, 13,4).

L’elogio della debolezza, non si rivolge alla debolezza, ma alla potenza di Dio. La debolezza non induce a fermarsi e a lasciarsi andare. Anzi il debole deve operare fino alla crocefissione. Gesù si trascina verso il Calvario con le ultime forze che la debolezza gli consente di usare.

P. Kolbe, affamato, assetato, prostrato a terra nel bunker della morte, pregava e cantava. Egli aveva accettato la spogliazione di tutto, anche delle proprie forze, ma quello che gli riusciva di compiere, lo compiva. Accettare la debolezza non è un consacrarsi all’inerzia. Il debole cristiano agisce debolmente, ma sempre agisce.

Il Padre agisce, e io agisco. Chi confonde la debolezza con il non far nulla, non conosce la debolezza, la misura della quale si tocca nell’agire.

Paolo parla della sua debolezza mentre agisce. addirittura scrive: “Siamo lieti, quando noi siamo deboli, voi invece forti”.

La forza di Dio si coniuga sempre con la debolezza dell’uomo. la stessa Eucarestia è Gesù che diventa così debole da essere mangiato, e diventare così la forza del nostro viatico. È il massimo della debolezza di Colui che divenne povero nell’umanarsi, e poverissimo fino all’annientazione di farsi  cibo.

Il cibo nutre, perché è assimilato, e perde la propria identità, per entrare a far parte dell’identità di colui che è nutrito.
   Gesù Eucarestia, entrando in noi come cibo, vive completa la propria debolezza, e perciò diventa la nostra forza.

10.06.12