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20 O chiave di David

Ecco subito l’antifona:

“O chiave di David, scettro della casa di Israele, che apri, e nessuno riesce a chiudere; chiudi, e nessuno riesce ad aprire: vieni, libera l’uomo prigioniero, che giace nelle tenebre e nell’ombra di morte”.

La chiave di David può non interessarci, come i calzari di Pompeo. Però il Profeta Isaia, che scrive di questa chiave, trova in essa un significato. La frase che richiama le chiavi di Davide, si riferisce a un cambio di governatore. Un governatore perfido di Gerusalemme è sostituito da uno buono.

Sappiamo che l’emblema di un re era lo scettro, l’emblema di un governatore era la chiave della città. Talvolta questa chiave era tanto pesante da essere sorretta sulle spalle.

A Gesù è posto sulle spalle l’emblema del potere: dal regno del male (impersonato dal Satana) con Gesù si passava al regno benefico e santo di Gesù, che assumeva il potere di aprire e di chiudere. Quel potere “delle chiavi” che poi Gesù trasmetterà a Pietro.

Il potere di aprire Gesù lo attua nell’aprire le porte della prigione. Perciò l’antifona ricorda a Gesù di liberare l’uomo prigioniero, chiuso nel carcere buio, dove sono raccolti i condannati a morte.

La liberazione di noi poveracci, chiusi nel carcere della nostra finitudine e del nostro peccato, è esercitata da Gesù, che squarcia le tenebre e vince la morte grazie alla sua risurrezione.

Per essere liberati dalle nostre tenebre, compito di Gesù, la precondizione è quella di desiderare la liberazione. Il nostro male ci imprigiona, il bene di Gesù ci libera.

GCM 06.12.11, 20.12.11