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La ritorsione 

Un insegnamento salvifico, pieno dello Spirito di carità, lo leggiamo alla fine degli Atti degli Apostoli.

Paolo si trova a Roma agli arresti domiciliari, in attesa di essere giudicato dal tribunale imperiale.

Egli ha reclamato di essere giudicato a Roma, per sfuggire a una giustizia sommaria e al linciaggio per lapidazione, intentato dai Giudei, che si opponevano alla risurrezione di Gesù, proclamata da Paolo.

Or bene, Paolo poteva accusare i Giudei, per liberarsi dalla condanna. Egli invece proclama: “Non voglio accusare la mia gente”. Ossia egli distingue il difendere se stesso, dall’accusare gli altri.

È questa una distinzione molto fine, ma di una portata consistente nel realizzare la parola di Gesù, che dice di amare i nemici.

Difendere noi, senza offendere gli altri. Non è un agire facile, eppure necessario per la vita del cristiano.

Anche Gesù, durante i tre processi intentati contro di lui (Sinedrio, Erode, Pilato), si difende chiarendo e indicando meramente la propria posizione. Non era facile, ma lui ci riuscì bellamente.

Per me, e forse per noi, non è facile, quando siamo accusati oppure offesi, non ritorcere sugli altri, mentre ci offendono, le stesse accuse. Tanto più che quando siamo accusati, l’accusatore è afflitto dagli stessi mali, che egli rimprovera a noi. Gesù lo sapeva, quando ricordò la faccenda del bruscolo e della trave. Eppure non siamo mai dispensati dal “pregare per i nemici”.

7.06.14