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Mangiare da risorti

23.04.12

Siamo pervasi di Risurrezione. Però siamo anche tuffati nello scorrere del tempo. Con il tempo si affievoliscono i momenti forti, sperimentati durante la vita. Molti anche di questi momenti forti si sottraggono alla memoria, per cadere nel pozzo buio e senza fondo dell’inconscio.

Anche il senso psichico della Risurrezione, donato a noi, è soggetto all’affievolimento. Per questo motivo, alcune (pochissime) persone lo rinvigoriscono unendosi sacramentalmente al Risorto. Riconfermarci nella Risurrezione di Gesù e nella nostra, è compito dell’Eucarestia. L’Eucarestia non è un lusso per le anime belle, come premio per la loro bellezza (parafrasando una frase di Gesù: nessuno è bello, se non il Padre!), ma un rinforzo per la nostra debolezza e una specie di richiamo per la nostra qualità salutare di risorti.

Eucarestia e Risurrezione si richiamano a vicenda, tanto che l’una non ha significato senza l’altra.

L’Eucarestia, infatti, non sarebbe viva, senza essere riempita di Gesù Risorto. Il Risorto non saprebbe collocarsi in terra senza l’Eucarestia. Solo l’Eucarestia può adombrare e sostituire il Risorto invisibile, renderlo presente.
Rendere presente quel Gesù: l’Evangelista ricorda come si fece presente nello spezzare il pane, e che presentandosi come fantasma agli Apostoli e ad altri con loro, chiese di poter mangiare per dimostrare la realtà della sua persona risorta. E mangiò pesce arrostito. Concretezza del Gesù Risorto.

L’Eucarestia, quel nostro raduno per mangiare e bere (purtroppo ridotto a quasi un nulla, anche quando un raduno è attuato in piccoli gruppi, dove il segno del banchetto potrebbe essere più incisivo!) è un obbedire a Gesù, che ci chiede di mangiare il suo corpo, e di bere il suo sangue.

12.04.12