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Avversità e abbandono

La nostra pace interiore e (perché no?) la nostra distensione nervosa si placano nella fiducia in Dio, sempre presente, anche quando i nostri piani, i più semplici e prevedibili, sono attraversati o interrotti dalla presenza di altre persone, e dai loro interventi più o meno sconsiderati.

Siamo sicuri che, qualunque situazione ci colpisca, siamo nelle mani del Padre; però al momento concreto, si prova paura o disagio. Ebbene è proprio questo disagio, che è parte della nostra vita, che deve essere affidato al Padre. Il disagio può esser vissuto dal bambino impaurito, anche quando si è rifugiato nelle braccia della madre: il disagio a due è già meglio tollerato. Forse il Padre ci chiede, non di superare il disagio, ma di viverlo con lui. Poi lui è Signore del tempo, e sa già quando il disagio finirà.

Il Padre resta, le difficoltà psichiche hanno la propria area di scorrimento nel tempo. E poi il Padre sa che, se ricorriamo a mezzi psichici o fisici di rasserenamento, questo fa parte della sua provvidenza, che tali mezzi ha creato.

Vivere la sofferenza con lui, è vivere la sofferenza (anche se minima) assieme con la sofferenza di suo Figlio.

La nostra presunzione vorrebbe sentirci eroici nelle difficoltà e superarle. Il suo amore, ama la debolezza, che diventa beatitudine di chi piange.

Vorremmo tutto acquietare perché desideriamo una perfetta omeostasi. Invece è più “salvifico” essere in preghiera fiduciosa, quando ci colpiscono le avversità, soprattutto se dovute a sviste del nostro prossimo.

20.08.14