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Patria ed esilio

S. Paolo, nel citare un salmo di vittoria, sentendo in esso la presenza di Gesù (e dove Paolo non avverte la presenza di Gesù?) afferma che sale al cielo soltanto chi è disceso dal cielo.

Il riferimento a Gesù è scontato. Lui diventa uomo, quasi rinunciando alla sua qualità di Dio, ma poi riprende  quella gloria, che ebbe all’inizio, prima che il mondo fosse plasmato.

E’ destinato, quindi, a salire al cielo, soltanto chi è disceso dal cielo.

Qui si innestano la nostra realtà e il nostro destino. Discesi dal cielo e perciò destinati al cielo. Discesi dal Padre e riassunti nel Padre.

Lo assicura Paolo: Dio ci ha pensati e destinati ad essere immagine del suo Figlio, prima che il mondo esistesse. Popolarmente si diceva, come ho sempre udito fin da bambino, che noi anticipiamo la nostra esistenza, perché da sempre siamo nella mente di Dio.

Il nostro destino è il cielo, perché la nostra patria di origine è il cielo. Gesù è comparso per ricordarcelo e per confermarlo con la sua morte e  risurrezione.

La nascita e la morte, con la durata inclusa tra i due termini estremi, sono avvolte dall’eternità, ossia dalla presenza e dalla misericordia del Padre. Siamo fattura umana e divina. L’umana si inizia e termina, la divina è oltre il tempo, in una perduranza non misurabile, eppure reale.

Voluti dalla misericordia del Padre, che ha lasciato ai nostri genitori la scelta del tempo e nel tempo, e attesi dalla stessa misericordia, alla fine, quando Dio sarà finalmente “tutto in tutti”, come si esprime S. Paolo. Tutto in tutti, non perché Dio si dissolva negli uomini, ma perché gli uomini sono assunti in Dio.

GCM 14.09.13