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L’elezione dei deboli

Deve essere tenuta cara la nostra debolezza, perché così ogni giorno possiamo sottoporre qualche cosa all’opera di Dio. Esser riconoscenti per i nostri falli, le nostre frequenti gaffes.

Tutti i salmi ci aiutano. Non la nostra mano ha acquistato la vittoria, ma la misericordia di Dio in noi.

Non passa giorno che almeno qualche screzio si senta nelle nostre strutture. Ed è “tutto grazia” come diceva il curato descritto da Bernanos, o come si ricorda nella leggenda del santo bevitore.

E allora diamoci al peccato? No. Affatto. Ci bastano le nostre debolezze, senza cercarne di altre. È sufficiente la nostra dotazione con la quota giornaliera di sconfitte e di ombre, per essere graditi al Padre ed essere scelti da lui. Tener cara la nostra piccolezza, senza aumentarne volutamente la dose.

Il Padre sceglie i deboli, perché possa essere libero nello svolgere la sua misericordia. Il pubblicano è giustificato, a differenza del fariseo, perché semplicemente si riconosce peccatore.

Dal Vangelo non appare ciò che il pubblicano deve compiere per uscire “giustificato” dalla preghiera. Non è lodato per i buoni propositi, ma semplicemente per la sua sincerità nell’indicare la propria miseria.

Però, mentre egli mostra la propria miseria, riconosce ciò che vale di più: la misericordia di Dio. Abbi pietà, cioè io mi affido alla tua misericordia.

Quando la Bibbia ci indica di “confessare” il nostro peccato, dà per scontata la tendenza alla caduta.

E, siccome l’età che avanza rende sempre più marcata la debolezza, per questo ti ringrazio. La tua scelta, o Padre, si fa più sicura e più pressante.
Nell’ultima debolezza, con la grande scelta: il tuo abbraccio!

23.03.14