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Fuga dal ragionare

Nell’avvicinare le persone, mi sembra di notare una progressiva fuga dal ragionare.

Esisteva una pretesa della teologia di essere superiore alla ricerca razionale. E una ricerca razionale, che si esaltava di essere superiore a ogni teologia e a ogni religione.

Poi venne la polemica su fede e scienza: notiamo, non teologia e scienza. Queste due sono ambiti del sapere umano, con due distinte metodologie, che non sono interscambiabili, perché l’oggetto della ricerca è diverso, sebbene alcuni tratti del processo metodologico possano essere simili.

Adesso che la teologia scopre l’unità umana tra la teologia e il metodo razionale, nasce l’antirazionale, ossia la fuga dal ragionare, che è troppo oneroso. E si presenta, sempre più imperioso, il dominio del sentire, dell’emozione, che scarta sia la fede sia la ragione.

Sembrava che nel nuovo dialogo tra fede (anche mediata dal sapere teologico) e ragione, ci fosse una qualche rinascita del pensiero di Anselmo d’Aosta.

Invece di fronte a qualsiasi verità, nasce l’opposizione: “Io non la sento così”.

Il sentire, non derivato dal pensare, ma che si pone contro e sopra il pensiero, sta prevalendo, in una società (cultura?) succube del sentire, alimentato in gran parte dai mass-media.

Senza che i “ben-pensanti”, i quali rifuggono da ogni ragionamento critico, se ne accorgano, le loro reazioni si basano sulle notizie. Su dieci notizie televisive metà sono di eventi negativi, altre solo superficiali, e forse una per cento, di eventi costruttivi.

Rimpinzate di negatività, le persone diventano distruttive (non solo per pestaggio, omicidi, ribalderie), soprattutto verso se stesse: in un mondo così brutto val la pena vivere, procreare? E’ meglio l’autodistruzione.

GCM 13.10.10, pubblicato 18.12.10