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Datore di lavoro

Oggi mi sento ilare: ho scoperto di essere diventato, almeno per i giudici americani, un dipendente del Vaticano.
Non essendo mai stato stipendiato (non ho un contratto stilato e firmato), ho la pensione assicurata. Essendo poi un lavoratore in nero, la mia pensione potrebbe svanire.

Inoltre, come dipendente del Vaticano, se ne combino qualcuna (come furti o pedofilia) toccherà al datore di lavoro risarcire le vittime. Proprio come avviene in America: là se un dipendente ruba o uccide, allora deve risarcire il datore di lavoro. Io me ne lavo le mani.

Alla mia tenerissima età, la magistratura americana, mi fa scoprire che mi sono trovato nel paese di Bengodi e mai me ne ero accorto.

Peggio ancora: se io ne combino qualcuna e poi riferisco le mie malefatte al mio datore di lavoro, tocca a lui sputtanarmi, davanti a tutti e alla giustizia del tribunale.

E’ meglio che se n’accorga il giudice, e poi imponga al mio datore di lavoro, anche se sta all’estero, di pagare.

Talvolta la giustizia umana, per essere troppo zelante, corre il rischio di diventare ridicola.

Condividere una fede, non corrisponde al sottomettermi a nessuno. Far parte di un’associazione, non significa esserne incatenati. Altrimenti che senso avrebbe quell’essere liberati da Gesù perché restassimo liberi?

Far parte di un gruppo richiede sottomettersi alle norme del gruppo e solamente i responsabili del gruppo giudicano se posso restare nel gruppo o uscirne. Spetta loro e a me. Se poi commetto un reato, quello lo commetto io e non il gruppo, eccetto il caso che il gruppo stesso (vedi mafia) non si dedichi a delinquere. Fino al presente, appartenere a Gesù, non è appartenere a una mafia.

GCM 30.06.10, pubblicato 05.11.10