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Essere nella preghiera

La bontà di Dio non si può misurare. E’ una bontà senza limiti. Anche senza limiti di tempo.

Qualche persona, quando prega, impartisce a Dio la direzione della sua mano e il tempo dell’esaudimento, pena (per Dio!) il rifiuto della fede in lui. Però quella persona non occorre che rifiuti la fede, questa è molto guasta per il fatto che scambia la preghiera a  Dio con il comando a Dio.

Una preghiera che impartisce a Dio dei comandi, dimentica la preghiera del lebbroso: “Se vuoi, puoi guarirmi”. Ogni preghiera è un chiedere con la condizione “se vuoi”.

Altrimenti essa non è preghiera, ma un tentativo di magia. La magia è un’azione, alla quale si attribuisce un effetto sicuro e meccanico: quel gesto mi protegge o mi libera da un malanno.

La preghiera è, prima di tutto, l’incontro affettuoso con il Padre. Il valore dolce della preghiera, non si riduce a un interessato ricevimento di un favore, ma nel costatare quanto Dio ci ama, nel lasciarsi accostare ed amare da un suo figlio o da una sua figlia. La preghiera è prima di tutto e fondamentalmente l’incontro.

Non è pagamento di tariffa al distributore automatico, non è un umiliante strisciare per terra davanti a un potente che deve muoversi per esaudirci. E’ invece un affare di famiglia, una affettuosa presa di contatto, nella quale prevale il comunicare i sentimenti reciproci sul richiedere finanziamenti. Ossia la lode e l’ammirazione per il bene che in famiglia si sta vivendo, piuttosto che la richiesta di favori.

Tanto più che il chiedere favori è inutile o perfino controproducente, perché “lui sa già ciò di cui i figli abbisognano”.

GCM 03.12.11