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Peccato o scorno

Constato ogni giorno quanta confusione e sovrapposizione si fa tra peccato e scorno, tra colpa di fronte a Dio e umiliazione di fronte a noi stessi e alla nostra pretesa di essere perfetti e illibati.

Lo stesso proposito di “non peccare più” è piuttosto un impegno a diventare perfetti, che un’umile confidenza nel Padre che perdona e che aiuta.

Il peccato non è uno scarto tra il nostro ideale, più o meno eroico, di essere bravi a tutto tondo, ma la sensibilità pentita di un figlio che si è discostato dall’amore del Padre. Il perno del peccato non può essere noi stessi umiliati perché incapaci, per esserci comportati disordinatamente. Il perno del peccato è il Padre, che ama e che non è accompagnato nel suo amore.

Purtroppo non siamo come Gesù, talmente sensibilizzato all’amore del Padre, da fare della sua vita una continua realizzazione della volontà del Padre.

Sensibili al Padre. Questa sensibilità ci rende esultanti se vediamo di compiere sempre ciò che a lui piace, e tristi se abbiamo combinato qualche cosa che a lui dispiace.

Tristi noi, non il Padre. In lui c’è soltanto gioia per il bene, gioia che aumenta in noi per il nostro bene. Anche di noi, se compiamo la volontà del Padre, il Padre può dire che siamo figli amati, dei quali si compiace.

Lo stesso “sacramento” della riconciliazione è destinato alla gioia, non alla tristezza, perché anche in cielo si fa festa. Non festa per uno sgravio, ma gioia con il Padre. Non penitenza aggiuntiva, ma gioia per il ritorno.

GCM 01.04.11, pubblicato 25.07.11