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Donarsi nel chiedere

Gesù ha avuto anche l’eperienza dell’essere profugo. Noi ricordiamo, ancora con sofferenza, i profughi dall’Istria, per sfuggire alle persecuzioni dei comunisti titini. Oggi stiamo assistendo alla fuga dei profughi nordafricani, perseguitati dalla fame e dalla guerra.

Anche Gesù dovette fuggire dalla Giudea, dove si era scatenata la caccia ai discepoli della scuola di Giovanni Battista, dopo la sua decapitazione. Gesù apparteneva a quella scuola di spiritualità.

Egli voleva riparare in Galilea, dove si sentiva meno bersagliato. Nel tragitto dall’inospitale Giudea, verso la Galilea, doveva attraversare il pericolo antigiudeo della Samaria. Vita autentica di profugo.

Arriva sfinito presso un pozzo, vicino alla città di Sicar, e si accascia, attendendo un po’ di rifocillamento, che i discepoli erano andati in gruppo a procurarsi a Sicar.

Questo profugo chiede dell’acqua a una donna. Il chiedere, secondo lui, è un dono elargito alla donna. Chiedre non è tanto un’umiliazione di chi è bisognoso, è anche, e di più, un dono che si fa a chi può aiutare. Impossibile: domandare è un dono? Il pregare può diventare un dono che si fa a Dio?

Le idee si confondono. Forse Gesù dice che il chiedere è un dono, perché chi chiede è Dio! Ed è vero: in Matteo è esplicitato, quando Gesù afferma che ogni bene recato a un bisognoso, è un bene recato a Dio.

Ma chi chiede a Dio, ha le misure di Gesù? Il Figlio che si rivolge al Padre, anche solo per chiedere, si rivolge nell’atmosfera dello Spirito Santo, ossia nell’atmosfera d’amore.

Tutti noi siamo figli. Tutti possiamo donare al Padre la nostra richiesta.

Siccome il chiedere è dono offerto, è logico che “chiedete ed otterrete”.

GCM 26.03.11, pubblicato 07.06.11