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Amore e pentimento

Pentimento, proposito, amore. Tre componenti del nostro ravvederci dopo aver errato o peccato. Le parole per esprimere queste componenti spesso si fermano e si riducono, nel sacramento della riconciliazione, alla mera e nuda accusa di una sfilza di peccati o - più frequentemente - di semplici errori.

Alcuni concentrano l’attenzione sul pentimento. Davvero sono pentiti per gli errori commessi? Ne rilevano tutta la cattiveria e/o la debolezza? Sperimentano il peso del male perpetrato?

Altri concentrano l’attenzione sull’impegno a rimediare e a “non commettere mai più”. Una sferzata alla propria volontà, affinché si leghi al proprosito e alla decisione.

Anche chi riceve l’accusa, perché autorizzato da Gesù attraverso la Chiesa, talvolta si arresta nel constatare se esiste un pentimento, corredato da un’accusa circostanziata, non raramente causa di forme ossessive (scrupoli). Egli si sente autorizzato a concedere o a negare il perdono. Concedere, se si vede la volontà di non peccare “mai più per l’avvenire”; in caso contrario, negare il perdono... perdono di quel Dio che “volentier perdona”. 

E l’amore? Chi si concentra sull’amore? Solo Gesù, che vede perdonati molti peccati perché trova molto amore? Solo Gesù, che a Pietro, amaramente pentito, chiede solamente “mi ami tu?” Oppure alla madre Chiesa, mediata da un uomo, destinato a perdonare?

Amore, che tiene più conto delle lacrime che dei propositi. Amore, che nota la stanchezza profonda del vivere, in coloro che peccano. Amore, che non si arresta nel chiedersi “assolvo o non assolvo”, ma vede in chi si accusa e in chi assolve, soprattutto la spinta dell’amore.

GCM 27.04.11, pubblicato 22.07.11