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Fiscalità e misericordia

In seminario, nella preparazione al sacerdozio (meglio: al presbiteriato), ci insegnavano anche la pastorale di come condurre una confessione sacramentale (adesso: sacramento della riconciliazione). Era una specie di indottrinamento alla fiscalità dei giudici.

Più che riconciliare, eravamo condotti a sapere se potevamo assolvere. Eravamo ripiegati su noi stressi, per scoprire il nostro comportamento. Perciò ecco il fiscalismo: da quanto tempo, quante volte, quali circostanze, ecc.

Poi guardo Gesù. Gesù alla peccatrice pubblica che gli piange addosso, non chiede da quanto tempo, quante volte, con chi e dove e come. Egli vede una donna affranta e pentita, e l’assolve, addirittura la difende, perché legge il cuore di quella donna, e vi scopre amore.

La posizione di Gesù nella relazione con i peccatori è semplice: la persona è pentita, la persona è capace di amare? Gesù non è obbligato a giudicare, a differenza dell’insegnamento dei miei giovani anni, quando gli insegnanti insistevano nel descrvere la “confessione” “ad modum iudicii”, come un tribunale.

Eppure Gesù aveva detto: “Non giudicate!”. Se non giudico, non sarò giudicato. Mi dice di perdonare settanta volte sette, e poi mi sento imporre di giudicare e di condannare.

P. Leopoldo, noto confessore di Padova, perdonava, perdonava sempre, perché questo comportamento l’aveva appreso dal “paròn”.

Saremo giudicati sulla misericordia! E correvamo il pericolo di non usare misericordia, durante il sacramento della misericordia.

GCM 29.03.11, pubblicato 03.10.11