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Preghiera povera

Nel dialogo con nostro Padre, tutto può diventare preghiera. Anche ogni dialogo, anche la “non-preghiera”.

Ogni dialogo è riverbero trinitario. La Trinità è dialogica. Tra loro le persone di Dio sono in circolarità perenne. Se è lecito usare un termine scientifico, non per dimostrare, ma per intuire il profondo dialogo trinitario, si può, con tutto rispetto, dire che le tre persone sono come tre cloni l’una dell’altra. Dio c’è perché è Trinità, ed è Trinità perché è Dio. Altro non può essere. Però, come si spiega o si rivela questo “modo” dinamico e semplice di essere Dio, lo intuiremo dopo. Con calma, con stupore, con tripudio. E il desiderio di intuirlo, s’accende sempre più, fino al giorno che esso sprigionerà in “visione”.

Dialogo è riverbero trinitario, immagine creata del creatore. Di fatti nulla è più gravoso della solitudine.

Anche la “non-preghiera” può essere preghiera.

La stanchezza, il caldo, le preoccupazioni, il calo di entusiasmo e mille altre cause, possono invaderci e renderci stanchi o non interessati a pregare e alla preghiera.

In  tutti però resta una riserva di preghiera. La riserva, quando altre motivazioni e altre energie vengono a scemare o a mancare, è poter sempre dire a Gesù o al Padre: “Non so pregare, non riesco a pregare”.

Se questa semplice frase è rivolta a Dio, è una preghiera. La preghiera dell’esistenza defedata. La preghiera della povertà assoluta. E in questa preghiera, spoglia di idee e di emozioni, rivolta al Padre, ritornano le Beatitudini di Gesù. Siamo poveri? Allora siamo beati. La povertà, per Gesù, è via alla preghiera. Anche la povertà di preghiera.

GCM 12.07.11, pubblicato 10.10.11