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Atei

L’Antico Testamento indicava l’ateismo come il peccato, che si connetteva con il politeismo, adoratore di dei inesistenti.

Il Nuovo Testamento ribadisce che chi crede è salvo, e chi non crede è perduto.

Oggi, in clima consumistico e (perciò!) non cristiano, il dichiararsi ateo per più d’uno è come il proclamare “io sono nobile, superiore alla credulità di molti”; è sinononimo di nobiltà di pensiero e scioltezza di comportamento.

Non mi va di condannare l’ateo. Forse critico la sua supponenza, quando crede di sovrastare il gregge dei credenti, non rispettando le persone che credono.

Però nessuno mi impedisce di compatire l’ateo. Egli è uno sfortunato, che si condanna alla disperazione e alla insignificanza. L’ateo è un naufrago. Può egli essere un  bravo nuotatore, ma non raggiungerà mai la riva.

Se Gesù non mi conservasse nella sua fede, e, con essa, nella mia speranza di una vita piena, mi sentirei affogato nell’ateismo. A chi rivolgermi per sentire la mia vita degna di essere vissuta? Sarei costretto ad aggrapparmi totalmente a qualche persona smarrita come me. Forse mi aggrapperei famelico ai piaceri immediati: una bella casa, una professione, una cultura, il vino, la droga, il sesso… Tutto un mondo destinato a tramontare con me.

Quelle rare volte che mi sono immaginato ateo, ho nutrito paura e compassione per me stesso. Perciò l’ateo mi desta tristezza e compassione. Non lo condanno, perché si è condannato già da sé… come l’alcolizzato o il tossicodipendente o il fumatore.

Compassione quindi. E, siccome amo (nel mio piccolo) Gesù, la mia compassione diventa preghiera.

GCM 26.12.13