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Conventualità e amore. 6

La conventualità è il luogo dell’amore.  Come la famiglia e ogni gruppo radunato: ogni paternità è da Dio, dice Paolo.

L’amore però non è un dato, ma una lenta, dinamica conquista. Chi esige amore per sé, non ama, perché l’amore è dono. Pretendere amore è la manifestazione più chiara di assenza d’amore. La sete di essere amati è opposta alla sete di amare.

Solo il bambino ha il diritto di esigere amore, perché dall’amore ricevuto si apprende l’arte di amare. L’adulto ha la chiamata a costruire il proprio amore proprio mentre dona amore. L’amore, in un convento, si costruisce quotidianamente, con il donare amore. Il convento diventa una palestra per amare, mentre per alcuni è sì e no la palestra della sopportazione.

Troppi frati truci, nei conventi! Frati che rifiutano la tenerezza, perfino il semplice “buon giorno” giornaliero, che alcuni tacciano di borghesia e di secolarismo. Senza tenerezza il convento si sfascia, e si riduce a un cumulo di doghe, tra loro sconnesse.

S. Francesco era chiaro sull’esigenza della tenerezza tra i frati: “E ovunque sono e si troveranno i fratelli, si mostrino familiari tra loro. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le proprie necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire per il suo fratello spirituale?” (Reg. c. VI). Nella Regola non bollata, al capitolo X, la tenerezza è ancora più chiara, fino a indicare che, se i frati non possono aiutare i fratelli malati, questi siano affidati ad altre persone.

Nei conventi anche un eccesso di tenerezza non guasta. Papa Francesco ci ha detto che è necessaria forza e maturità per vivere la tenerezza.

GCM 07.07.13