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Conventualità . 2

Solo una conventualità coesa può espandersi. Più è solida dentro di sé, più è forte per uscire e beneficare. I conventi non sono monasteri, che per definizione sono circoscritti in sé, sebbene oggi i monaci rivestano molte attività pastorali.

I conventi sono ponti tra la gente. S. Francesco non si è ritirato in un eremo, ma ha voluto i suoi fratelli, in mezzo alla gente. Ai suoi tempi i monasteri erano collocati nelle campagne, anche per bonificarle, mentre i conventi si radunavano nelle città, pur privilegiando le zone popolari o le periferie. Anche la chiesa di S. Lorenzo era alla periferia della allora piccola città di Vicenza.

Il convento era costituito a favore della gente. Il convento, che non sia a favore della gente, ma a favore dei frati, ha sberciato la propria finalità.

Tuttavia per essere forza propulsiva per la gente, il convento deve essere una fraternità unita. Allora è bene che ogni convento impari a scoprire e a vivere le dinamiche psico-sociali, che davvero uniscono i frati.

Una comunità conventuale è zoppa se i frati non si conoscono. Troppi silenzi, e troppa paura di svelarsi, perché i frati sono educati più al moralismo della critica che alla comprensione e alla scoperta del valore dell’altro o degli altri. L’educazione a interpretare le azioni sotto la luce esclusiva del bene o del male secondo l’etica, rende i conventi unilaterali nei giudizi, perché si osservano le azioni (le azioni, non i cuori!) sotto la luce morale. Del resto ciò è ovvio: dopo cinque anni di “teologia morale” e un solo anno di “dinamica psicologica”, la mentalità si abitua a giudicare, di solito, senza amore.

GCM 03.07.13