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Conventualità e storia. 4

Prima delle ultime riforme, la conventualità era la base dell’Ordine, come la famiglia era alla base della società civile. Poi gli accentramenti, sempre più sviluppati nel periodo industriale, depotenziarono conventi e famiglie, per esaltare l’Ordine e lo Stato, fino alle forme estreme di Stato totalitario.

Le famiglie esaltavano la loro ascendenza, i padri, gli avi, i bisavoli ecc. fino a scoprire le prime radici della famiglia in una saga autocelebrante. Oggi, soprattutto dopo il dilagare dei divorzi, il passato è dimenticato, il futuro interessa poco, il presente è sempre incerto: serve il vivere nell’ora, o tutt’al più nel “carpe diem” (= approfitta del presente), senza progetti seri.

La stessa mentalità ha corrotto la vita conventuale, nella quale la precarietà è paludata dal nobile manto dell’itineranza, ossia del non avere né radici né futuro.  E poi molti si lamentano per il disinteresse che i frati nutrono verso la propria casa.

I conventi sembra siano senza storia e senza futuro, per vivere alla giornata.

Ogni futuro cammina con le gambe del passato. Però il frate che “casca” in un convento (spesso senza sceglierlo), si trova in una situazione disorientata.
Potrebbe orientarlo la conoscenza del passato, la storia di quel convento. Ho notato, invece, una costante nei frati nuovi del convento: la voglia di novità distruggendo il “già presente”. Così si troncano le gambe del passato e neppure il futuro può camminare. Tanto più che la novità, intesa dai frati appena giunti, spesso è quella di riprodurre ciò che altrove avevano vissuto.

Chi non conosce la storia del luogo dove vive (come avviene per gli extracomunitari!) non ha la forza per avanzare in un futuro positivo e costruttivo.

GCM 05.07.13