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Compagni santi

Durante il periodo della mia formazione seminaristica, nelle mie classi c’è sempre stato qualche santarello, ritenuto tale da lui stesso, innanzitutto, ma anche dai superiori (ai quali faceva comodo, perché si esibiva sempre obbediente) e perfino da qualche compagno di studi, che scriveva nel proprio diario di voler imitare il santino.

A me interessava imparare, scrivere, suonare e fare qualche sciocchezza. Con l’andar del tempo, e con la vicinanza al Padre Leone Veuthey, ho cominciato a desiderare prima di tutto di amare e sperimentare Dio, lasciando ai più bravi il compito arduo di diventare o di essere santi, sebbene mi facessero invidia e, in qualche modo, mi attirassero.

Oggi ringrazio il Padre di non essere diventato santo (quanta fatica risparmiata!) e di continuare a chiedere allo Spirito Santo di mettere in me l’amore al Padre; ogni giorno quella quota d’amore, che allo Spirito torna giusto concedermi, affinché oggi, e solo oggi, possa sentire amore al Padre. Domani sarà come a Lui piace.

Ringrazio Dio di non essermi fatto santo.

Ricordo l’esito di tre santi miei compagni. Uno promosso a una alto grado nelle gerarchia interna, si innamora di una donna, si spreta e fugge con le finanze della comunità... che non si erano volute staccare da lui: quando si dice affetto!

Un altro, si innamora di una prostituta, esce dall’Ordine, lascia il sacerdozio, la sposa... e poi, chissà perché, muore.

Il terzo, figlio di un fascista squadrista, esulta quando Mussolini dichiara la guerra, esce dall’Ordine, entra tra le “brigate nere” combattenti, lascia incinta una ragazza, è ucciso dai partigiani.

Grazie, Gesù, che non sono stato santo nemmeno durante l’adolescenza.

GCM 10.08.13