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Conventualità. 3

Non è pericoloso promuovere la profonda coesione in un convento? Non è un chiudersi a riccio, trascurando gli altri?

Questo sarebbe un pericolo se la comunità, osservando le regole, restasse inoperosa. Invece il rinforzare i legami e le dinamiche vere di un convento, rende più potente l’azione fuori convento.

E’ esperienza giornaliera il sentire più energia nel nostro operare, quanto più ci sentiamo amati, e sentiamo un forte appoggio alle nostre spalle. La coesione affettiva potenzia il lavoro. Altrimenti il lavoro dei singoli, spezzettato e staccato dalla comunità, perde di efficacia, e il singolo entra in angoscia accorgendosi di essere lasciato solo. Lasciato solo, ma anche criticato e invidiato. (Angoscia reale sebbene il soggetto cerca di non avvertirla).

Si prospetta a questo punto la necessità della stima reciproca e della lode della comunità per il lavoro affrontato dai singoli.

Lode, invece di invidia e di disapprovazione. Questo può accadere soltanto se il parlarsi e il comunicarsi all’interno del gruppo, sono resi possibili dal rispetto dell’azione di ogni membro. I frati muti, o bilaterali, intristiscono i conventi. Muti, se non comunicano con nessuno, bilaterali se tacciono in comunità e sono parolai con le persone esterne alla comunità. Sono parolai, non comunicativi, perché se non si aprono con coloro con i quali convivono, vestono un abito falso per farsi lodare da chi non li conosce.

Dal dialogo l’efficacia dell’apostolato. Ovviamente il primo dialogo è con Gesù nell’Eucarestia. Però chi non comunica in comunità, neppure durante i “capitoli conventuali” è propenso, durante l’Eucarestia, più a seguire le rubriche che ad aprire il cuore.

GCM 04.07.13